Nel mito del Che convivono due aspetti fondamentali: da un lato la diffusione planetaria dell’immagine iconica del Guerrigliero Eroico, dall’altro un sempre più manifesto disinteresse per l’uomo Guevara. Oggi, a fronte di un’innegabile e sorprendente popolarità, ciò che colpisce è la percezione che il mito del Che stia progressivamente svuotandosi di contenuti per lasciare spazio ad un’icona pop, commerciale e pubblicitaria. Ma c’è dell’altro. Guevara è difficile da digerire perché è uno sconfitto della storia. E i perdenti, se è vero che affascinano per la loro capacità di suscitare romantica ammirazione, risultano allo stesso tempo minacciosi, dal momento che sono accompagnati passo passo dallo spettro della morte.
Eppure il Che in qualche modo resiste. Il rivoluzionario argentino è un pungolo per la coscienza (non solo civile). Non si può restare indifferenti al suo cospetto. Le meschinità del nostro presente fanno impallidire quando leggiamo di un uomo di Stato che, per dare il buon esempio, si metteva pazientemente in fila alla mensa del ministero con una scodella di alluminio in mano. Ed è questo, in definitiva, ciò che resta: il fascino di un don Chisciotte del XX secolo, capace di non farsi intossicare dal potere e di obbedire alla coscienza fino alle estreme conseguenze.
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